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«Anche noi chiuderemo, in provincia dell'Aquila, poi resistere è diventato non un sogno, ma un incubo. Tanti saluti e via, però la vita quella no, non gliela regaliamo!»
Sono queste le prime parole di intrise di scoraggiamento e disperazione di Cristina che vive a Cappelle dei Marsi. Mi invita a vedere i lavori realizzati dal marito Moncef, è molto bravo, intaglia il legno creando raffinati dettagli. Cristina mi segnala un reportage su Repubblica Tv sugli immigrati che lasciano l’Italia per tornare nel Paese di origine o per migrare altrove.
Si tratta di immigrati integrati, che hanno avviato attività di successo. L’Italia non è più un Paese per immigrati, ma nemmeno per gli italiani. Il sole 24 ore il 2 aprile 2012 ha pubblicato un’inchiesta sugli italiani che emigrano: oltre 27 mila fuggono all’estero con destinazione Germania e Gran Bretagna. Cristina racconta com’è iniziata la loro avventura artigiana e come purtroppo sta terminando a causa della crisi.
«Abbiamo messo su nel ‘95, io e mio marito, anche se ufficialmente risulta solo lui nella nostra ditta artigiana, una piccola falegnameria ed ebanisteria, a Cappelle dei Marsi. Premetto che mio marito è tunisino di origine, ma vive qui dal ‘89. Caparbio e tenace, da niente, anzi da meno di niente, con mille sacrifici ha voluto questa attività e con essa credeva di aver realizzato il suo sogno. Se vuoi fare impresa e non hai il politico di turno che ti appoggia, non hai accesso al credito, a finanziamenti agevolati, perchè sono già assegnati.
Quando facemmo domanda per avere un fido parzialmente a fondo perduto, l'impiegato dell’associazione ci disse chiaro: “La domanda costa 100 euro ma comunque sono soldi buttati… si sa già a chi verranno assegnati! Però se volete farla, io ve la inoltro, come detto sono 100 euro”.
L' unico prestito che siamo riusciti ad avere è stato quello dell'antiusura, con 60 cambiali a firma doppia per un importo di 15.000 euro. Il resto tutto da soli. Lacrime e sangue.
Ora non c'è più clientela, in una zona come questa, dove i tassi di disoccupazione e di cassa integrazione sono altissimi, dove le banche non scuciono un soldo per i mutui alle famiglie, chi viene dal falegname a farsi i mobili?
Non posso fare le finestre, non sono competitivo rispetto a quelle importate dalla Polonia, non posso fare mobili perchè la gente va da Ikea o Mondo Convenienza, e non posso biasimarla, visto che non arriva a fine mese.
I benestanti si guardano bene dallo spendere i soldi in un momento come questo, magari si ingegnano per portare i liquidi all'estero... e i politici che fanno?
Approvano leggi con tagli che colpiscono sempre le stesse fasce di popolazione, danno direttive per inviare cartelle Equitalia a raffica, sfilze di multe perchè non ci sono soldi per gli Enti locali, aumentano l'IVA che ci impone di aumentare i prezzi... la tassazione raggiunge quasi il 60 per cento.
In queste condizioni un piccolo imprenditore come fa ad andare avanti? Se non sta a monte (intendo Montecitorio) il problema, allora dov’è?
Io non appartengo a nessun partito, ma non sono apolitica, penso che la politica sia una cosa molto importante, purtroppo nel nostro paese non esiste più perchè è solo collusione, tornaconto personale e delle proprie clientele.
Nonostante le avversità abbiamo messo su famiglia, abbiamo due figli, e tutto è filato dignitosamente fino al 2008. Poi piano, piano sempre meno ordinativi e siamo stati costretti a licenziare l'unico apprendista che avevamo.
L’anno dopo è arrivato il terremoto, anche se la Marsica non ha avuto molti danni, le ripercussioni economiche sull'indotto dell'aquilano si sono fatte sentire.
Ci siamo detti: “E’ un brutto periodo stringiamo la cinghia e ce la faremo, ci sarà la ricostruzione...”
Invece c’è stato il nulla, è da un anno che non abbiamo quasi più clienti, abbiamo contratto molti debiti per restare in piedi, la banca ci sta chiedendo di rientrare col fido, Equitalia ci ha notificato una decina di cartelle per Iva, Inps e Inail non pagate negli ultimi due anni, siamo allo stremo. Mio marito sta tentando di fare le pratiche per poter trasferire tutta la sua attività in Tunisia.
A 45 anni non se la sente di ricominciare tutto da capo in un altro continente, sarebbe assurdo restare in questa maledetta Europa.
Abbandonare l’Italia è l’unica soluzione per riuscire a sostenere la famiglia ed evitare che ci portino via i macchinari che sono la nostra unica fonte di sostentamento. Abbiamo anche cercato di venderli, ma gli avvoltoi ci hanno offerto solo 10.000 euro anche se valgono almeno dieci volte tanto. Con tale cifra non ci pagheremmo nemmeno un terzo dei debiti!
Insomma lo scoramento è grande. Mio marito ora, dopo più di venti anni in Italia si ritrova a rifare la “valigia di cartone” e a lasciarsi di nuovo alle spalle gli affetti e ad andare incontro al suo destino di migrante perenne. Noi, la sua famiglia, per il momento rimaniamo qui.
Aspetteremo che si sistemi e poi quello che verrà non lo so.»
Samanta Di Persio