Il caso India tra guerra alle criptovalute e voglia di utilizzarle

17 Giugno 2019   20:49  

I Paesi Asiatici hanno un rapporto conflittuale con le criptovalute fin dalla loro nascita. Da una parte, infatti, sono numerosi gli investitori che credono fermamente nello sviluppo di questo settore. Dall'altro vi sono i governi che vedono in bitcoin e altcoin dei nemici da eliminare al più presto per salvaguardare l'economia degli stati.

L'India ha recentemente dato un giro di vite ai bitcoin. Lo ha fatto con una proposta destinata a far discutere. Stando a quanto riporta BloombergQuint, infatti, i legislatori indiani hanno proposto di applicare una pena detentiva di 10 anni per i cittadini che si occupano di criptovalute. Una vera e propria mazzata, insomma. I detentori delle monete virtuali vengono dunque equiparati a criminali veri e propri. La nuova regolamentazione contro le criptovalute fa parte di un progetto di legge recentemente proposto, intitolato “Bandire le criptovalute e il regolamento della banconota ufficiale in valuta digitale 2019” in cui è stato messo in atto un'autentica guerra al sistema virtuale.

Per mettere in atto questa crociata l'idea è quella di effettuare controlli rigidi, ordinando ai detentori delle monete virtuali di dichiarare i propri beni cripto entro 90 giorni e di disporre delle attività “in conformità con la prescrizione del governo centrale”.

Perché molti stati, soprattutto in Asia, credono che le monete virtuali siano un pericolo? La risposta è semplice: perché non è possibile controllarle. Ciò che fa veramente paura, è la totale mancanza di un'autorità centrale che riesca a indirizzare e controllare questo nuovo sistema economico. Di contro, però, tutti sono affascinati dai meccanismi che regolano la Blockchain. Nel “libro mastro” nato con i bitcoin, si intravedono enormi potenzialità per aumentare la velocità e la sicurezza delle transazioni. Questo porta ad una sola conclusione: ciò che gli Stati non considerano non è l'intero sistema edificato da Satoshi Nakamoto, ma semplicemente la concezione di liberalità che ha dato ad essa. Se si tendesse il sistema controllabile, le opposizioni di fatto crollerebbero. Per questo motivo molti governi tendono a creare una propria moneta virtuale. L'India non fa differenza. Nel disegno di legge di cui abbiamo parlato, infatti, vi è anche la proposta di una moneta virtuale denominata Rupia digitale.

Secondo gli analisti del sito italiano Criptomag.it, “la creazione della rupia digitale in questo momento sarebbe un vero e proprio azzardo”. Per questo motivo il governo indiano dovrebbe avere l’accortezza di lasciare la sperimentazione di una moneta digitale a Paesi più piccoli e più avanzati da un punto di vista tecnologico. Il motivo di maggior timore sta nel fatto che gli effetti economici della crittografia sono considerevoli e in gran parte sconosciuti, per cui bisognerebbe tentare di andare più cauti su questo tema.

Stando al parere della Banca centrale indiana, una moneta virtuale usata solo all'interno dei confini nazionali faciliterebbe i pagamenti e porrebbe un argine ai crescenti costi di gestione del denaro fisico. Inoltre, permetterebbe di contrastare le attività di riciclaggio dei capitali provenienti da attività illecite.

Il “caso India” conferma come la percezione che si ha delle criptovalute sia ancora vaga e contraddittoria. Servirà ancora un po' perché questa realtà sia del tutto accettata.


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